Ho bisogno
di stendermi e chiudere gli occhi; rimanere in silenzio e spegnere i pensieri.
Ascoltare neutralmente
i moti del mio corpo, senza averne paura e senza esaltarmi.
La musica,
forse certa musica di Ben Howard, nelle orecchie, somministrata però da
raffinate cuffie, che mi isolino da tutto il resto, tranne dal lento incedere
del respiro e il sinusoide battito del cuore.
Rimanere inermi
a sentire questa mole pesante, tanto pesante da percepirmi immobile e atonico,
spento come un grande TIR fiaccato che fa rifornimento.
Nelle orecchie
nessuna parla ripetuta maniacalmente negli ultimi tre anni e più o trentotto
mesi e un giorno.
Allontanarsi
da questa terra e dalla nuova tremolante; allentare la morbosa curiosità di
sapere come va.
Semplicemente
e naturalmente va.
Va tutto
avanti anche se io per un po’ non gioco, anche se io per un po’ mi stendo in
silenzio, senza neanche osservare.
Voglio fare
quello che voglio, quello che sento, senza sentirmi additato e giudicato dai
flussi sinaptici che disgraziatamente ho contribuito a collegare.
Si fermi la
serotonina, si fermi ogni cosa, si fermi questo cazzo di treno che non ho
scelto di prendere.
Voglio
scendere e risalire sul mio treno, quello che passa tutti i giorni a tutte le ore
e che io lascio andare, incapace di staccarmi dalla motrice sbagliata.
Ormai ti ho
vista, so che ci sei e se, macchè, appena riesco a scendere da questo
scompartimento nauseabondo, ti salto in groppa a sentire aria fresca sbattermi
in faccia.
Il primo
respiro mi entrerà dentro a portare via i legacci di tanta inconsapevolezza.
Attenta, ho
le scarpe nuove e ho preso la rincorsa.
Arrivo vita
mia.