È la mattina del 3 giugno, ultimo giorno in Irlanda,
domani notte abbiamo il traghetto per Man.
Da Ballymoney cominciamo a scendere lungo la costa del Mar d’Irlanda [cit.
“nel Mar d’Irlanda si bagnano tre religioni; due fottutamente pericolose, ed
una venera le corse su strada”…Ludo docet] per raggiungere Belfast; la costa
orientale dell’Irlanda è meno brulla di quella occidentale; dominano sempre
coste a picco e falesie, ma la vegetazione risente della protezione dai venti
artici che invece investono il Donegal.
È
una giornata quasi di transizione, ce la prendiamo comoda e verso le 4:30 – 5 siamo
a Belfast.
Non
so perché, ma questa città mi ha sempre “messo paura”; sicuramente per la
lunga, sanguinosa e medioevale scontro religioso e l’IRA.
Non
v’è traccia di tutto questo nelle strade di Belfast; il Bloody Sunday cantato
dagli U2 non trova riscontro nei colori, nei sapori e negli odori della
capitale degli attentati al tritolo degli anni ’80.
Camminiamo
sotto un caldo sole, adesso siamo scesi di latitudine e anche in maniche corte
si sta bene.
Un
passaggio al famoso Crown Bar per cenare e poi andare a letto; la sveglia è
fissata alle 2:00 di mattina e la giornata sarà lunga.
Alle
3:30 la fila all’imbarco per Man è già bella lunga; l’eccitazione brucia la
temuta levataccia mentre il cielo comincia schiarire sempre più.
Per
uno strano caso siamo gli ultimi della fila…! Saliamo sul traghetto, assicuriamo
le moto e ci dirigiamo al bar sul ponte sovrastante per fare colazione; poi
sentiamo un velo di stanchezza e sonno che ci suggeriscono di prendere posto su
qualche sparuta poltrona rimasta libera. Il traghetto è stracolmo.
PS:
per chi volesse andare a vedere il TT di Man consiglio di prenotare il
traghetto per e da Man verso settembre, altrimenti i posti non si trovano!
Tre
ore e poggiamo le ruote sul suolo dell’Isola di Man. Un rumore fragoroso e
appropriato esce dalla stiva del traghetto.
Siamo
a Man, e i rumori sono quelli dei mezzi a due ruote, di ogni genere e tipo; di
ogni cilindrata e colore, dall’Harley alla Ducati 1299 Panigale (usata anche
dalla Polizia).
Abbiamo
due stanze già prenotate a casa di Sara; andiamo, poggiamo tutto comprese le
moto e siamo pronti per assistere alla gara del giorno.
Ludo
ci guida in fondo a Bray Hill, proprio sulla compressione. Bray Hill è un
discesone posto appena dopo il Gran Stand (la partenza del TT) con una pendenza
del 35% a cui segue, senza soluzione di continuità, una curva a destra in
salita.
Chi
ha il pelo sullo stomaco passa a canna senza chiudere il gas, le sospensioni
vanno a pacco (si chiudono tutte) e la carena della pancia lascia lunghe strisciate
e solchi sull’asfalto della compressione.
Giuro
di aver passato la prima mezz’ora nel panico; la sensazione di un disastro
imminente mi aveva pervaso, quasi non riuscivo ad assistere al passaggio delle
moto cadenzato ogni 10 secondi dalla vicinissima partenza.
Vedo
sfilare come missili terra-terra i nomi che solo fino ad allora avevo solo
immaginato.
McGiunnes, Bruce Anstey, Michael e William Dunlop (nipoti di Joey), Ian Hatchinson e anche l'italiano Bonetti.
Posso
ora confermare che non è come sembra; è molto peggio, o meglio, dipende dai punti
di vista.
Le
velocità sono stratosferiche come microsferiche sono le distanze che i piloti
tengono dai marciapiedi, dai muri e dai terrapieni.
È
tutto calcolato, le traiettorie, le velocità, la quantità di gas aperto, la
pressione sulla pinza del freno…tutto; eppure anche quest’anno il Mountain ha
preso il suo dazio: sei vite perse tra cui un civile e 5 piloti. Ma il TT di Man
è così prendere o lasciare, nessuno ti obbliga e nessuno ti costringe.
Sono
veramente terrorizzato, ma anche “i bastardi senza gloria” passano su Bray Hill
a vita persa come se non ci fosse un domani.
I
passaggi sono sei; il TT per le superbike ne prevede tanti e ogni giro sono
60,7 chilometri, 256 pieghe a giro, 2 pit stop per cambiare gomme e fare benzina tutto
alla velocità della luce. Finita la gara delle superbike ci spostiamo a Braddan
Bridge per vedere quella dei sidecar; ci sediamo sulle panche di quella che
sembra una tribuna, mangiamo, qualcuno si addormenta spiaggiato sull’erba del
parco proprio a ridosso delle panche.
Le
gare si concludono e gli efficientissimi marshall riaprono il circuito al
traffico cittadino.
Andiamo
in centro e comincia la caccia agli stickers…proseguirà “patologicamente per
tutti e quattro i giorni di permanenza sull’isola”.
Troviamo
da mangiare e bere, è ora di cena più o meno; siamo in piedi dalle due di
mattina e ben presto siamo a letto. Domani c’è il Mad Sunday: pista libera per
tutti, a velocità limitata, fatta eccezione per un tratto della montagna.
Man
in queste due settimane non è economica, tutt’altro, ma del resto per le altre
50 settimane che la dividono dal prossimo TT il turismo non è il suo pezzo
forte.
A
Sara, la padrona di casa chiediamo come sia la vita su Man quando non c’è il
TT! Lei risponde placidamente: tranquilla!
Il
giorno del Mad Sunday arriva presto; risaliamo sulle moto e ci infiliamo sul
circuito che oggi si può percorrere in un senso solo, quello delle gare.
Non
è come me lo ero immaginato; molto meglio. Nessuna velocità libera sulla
montagna; il Mad Sunday si trasforma in una sfilata di 40.000 moto lungo i 60.7
chilometri del circuito.
Semplicemente
meraviglioso.
Il
resto del giorno lo passiamo ad “esplorare” l’isola, passiamo a Ramsey, Pill ed
altri paesotti costieri.
Non
c’è verso, tutt’attorno si respira l’aria del TT, quella dell’olio bruciato,
della benzina, della velocità e della morte.
Il
paddock è free entrance, passiamo tra i vari box (spesso roulotte o camper con
un modesto spazio antistante adattati ad officina, camera da letto, cucina e
bagno).
Ce
lo facciamo tutto! Le moto ed i sidecar non ci sono…sono completamente
smontati, i motori sono sui i banconi dei meccanici o degli stessi piloti;
qualcuno è cotto qualcuno sta spremendo qualche altro cavallo e da un lato ci
sono telaio e carena. È un lavorio continuo attorno ai cuori pulsanti, da 200
cavalli e passa, che l’indomani si ritroveranno sul Mountain.
Il
giorno successivo ci piazziamo a vedere le gare a Ballaugh Bridge, dove le moto
saltano seguendo una traiettoria millimetrica per non finire sul muro del “Raven”
un pub che si trova proprio lì; rimesse tutte e due le ruote a terra piegano a
destra e danno fondo alla manopola del gas facendo il pelo prima al Raven e poi,
poco più avanti, al muro di pietra a sinistra.
Fa
caldo, fa veramente caldo. Lo speaker del TT annuncia che non faceva così caldo
da 40 anni!
Non
solo fa caldo ma il sole picchia e picchia forte. Io e Ludovico troviamo un
negozietto che per carità divina vende anche della crema solare protettiva; decidiamo
di esagerare: protezione 40 per bambini. Spalmato l’unguento ci trasformiamo in
cartoni animati color blu argento…la gente ci nota, ma la pelata è salva.
Ci
spostiamo nel luogo sacro del TT: Greg Ny Baa, ci sono tre tribune a pagamento
e una ad invito credo.
Ci
spostiamo sul prato alla fine del rettilineo in discesa che da Kate’s Cottage
si lancia verso la curva a destra di Greg Ny Baa. Passano tutti, anche i
newcomer (così si chiamano quelli che sono alla prima volta sul Mountain) con
la loro casacca arancione (tanto per essere riconoscibili) ed ogni moto lascia
il sapore di un piegone a destra e il fondoscala del rettilineo successivo. Che
storia!
Le
gare finiscono, ci sono le free practice ma preferiamo risalire in moto, farci
un giro e poi tornare in centro.
L’ultimo
giorno a Man.
Oggi
non ci sono gare, il circuito è aperto e solo la montagna nevosa, Snaefell
(così la chiamano) è percorribile a verso obbligato.
Decidiamo
di rifarci i 60.7 chilometri del circuito e passare sullo Snaefell.
Non
c’è traffico, pochissimi si sono avventurati sul circuito, ma dove la velocità
non è consentita si va a 30 miglia orarie; la pena è un processo, una sanzione
ed il sequestro della moto. E qui non si scherza proprio per niente.
Dopo
il rampino che alza la salita sotto le ruote cominciamo a passare il limite
orario un po’ castrante….50 km/h.
D’un
baleno ci troviamo sullo Snaefell, pista libera.
Scalo
un marcia, non basta, scendo in seconda e apro il gas del mio GS 800, Ludo è
già passato ad olre 150 all’ora (più tardi mi dirà che era a 160) io spingo
sulla strada sconnessa tanto da mandare quasi in risonanza il mono e le
forcelle; d’un tratto a 180 sento quasi di non aver controllo della moto, sento
sbiancare dentro il casco, tolgo gas e tocco delicatamente il freno posteriore,
comincio a rallentare e raggiungo una velocità “sicura”: mi sono cagato sotto…!
Che coglione.
Intanto
Ludovico vive un momento di panico: ha strada libera, davanti a se non c’è
nessuno, deve solo passare sotto il ponte che porta a kate’s cottage, quando
svalica vede due o tre macchine della polizia chiudere la strada davanti a se e
fare segno di fermarsi. Ecco qui…oggi non è Mad Sunday, mi avranno preso la
velocità con il laser e sono fottuto. Non so se abbia sbiancato anche lui nel
casco, ma una bella smaltita se l’è fatta.
Alla
fine la polizia stava lì perché qualcuno dopo Kate’s cottage si era schiantato
ed avevano chiuso la strada.
Ci
riuniamo tutti e quattro e siamo proprio sotto la statua di Joey Dunlop, la
stessa identica che abbiamo visitato a Ballymoney; si dice che l’una sia
rivolta verso l’altra, ma vallo a verificare…anche se non fosse vero a noi
piace pensare così.
La
strada rimane chiusa a lungo così scendiamo per una consolare e andiamo a
mangiare i granchi a Pill.
L’atmosfera
è di quella che vorresti non finire mai, si è fatto buoi e lì sopra vuol dire
che siamo ben oltre la mezzanotte.
Riprendiamo
le moto e torniamo a Douglas dove alloggiamo.
Qualcuno
ha ancora la forza di uscire e andare a bere qualche pinta. Io no. Svengo nel
letto, domattina comincia il ritorno.