Pensare liberaMente

sabato 24 dicembre 2016

Auguri a te.

Che si facciano gli auguri di Natale, premesso che non sono nè credente men che meno falso praticante, capisco che questo è quel periodo dell'anno in cui vale tutto; un momento franco, senza dogana, dove la falsità e l'ipocrisia, la facile convenienza si lasciano manifestare a briglie sciolte e, visto che ognuno porta la sua maschera, nessuno si riconosce in questo ginepraio di falso dilagante. 
Intanto auguti ai veri, per il resto è così e così ce la prendiamo, respingendo i facili entusiasmi a costo di passare per eterni cupi ed incazzati. 
E allora auguri!
Auguri ai nemici.
Auguri a chi, volente o nolente, mi ha dato del male.
Auguri a chi crede di sapere.
Auguri ai curiosi e alle pettegole.
Auguri ai prepotenti e agli arroganti, ai falsi ed ai saccenti.
Auguri Auguri Auguri. 
Auguri a me.
Strozzatevi con questi auguri.
E invece auguri a te che manchi oggi più che mai; un tuo bacio mi sfiori la fronte, il tuo odore mi esploda nel cuore e il tuo bene mi avvolga la vita.

lunedì 12 settembre 2016

basta essere anche un pò donna

Vabbè dai. 
Il Giorno che "anche basta" doveva pure arrivare. E' arrivato tempo fa. Non l'ho detto, mi dispiace, ma era mio.
Tombale e sigillato dal più classico dei "mi fai schifo".
Non si torna indietro, come chi arrivò sulle sponde del nuovo  mondo e bruciò le navi per motivare gli uomini approdati nelle Indie.
Sono nelle mie Indie, non pentito anzi orgoglioso di aver dato un calcio nel culo alla speranza, questo maledetto e ingannevole placebo dell'esistenza.
Cerco di convincermi che sono forte, ma forse in realtà lo sono, e non forte, ma indifferente.

Togli un giocattolo ad un bambino e lui lo vorrà ancora di più con tutta la forza, le urla e le lacrime. 

Ho urlato, mi sono sfinito e finito le lacrime. 
Era "aria vitale" o "impuntatura" ?
Mah !
Si può vivere senza, certo che si; basta essere anche un pò donna e imitare la sua indifferenza.

In fondo era facile, hanno solo più palle !

lunedì 25 luglio 2016

Irlanda del Nord - TT Man (ultima parte)

Alle 7:00 siamo in fila sul molo del porto di Douglas pronti per raggiungere Heysham. Tre ore e mettiamo le ruote di nuovo in Galles: destinazione Hull da dove la stessa sera ci imbarchiamo, su un traghetto a 13 ponti, per Rotterdam.
Abbiamo la cuccetta con l’oblò che guarda a proravia e il traghetto è enorme; siamo al deck 10 ma più su c’è ristorante, teatro e negozi.
La navigazione nel Mare del Nord è tranquilla, non il minimo beccheggio non il minimo rollio; dormiamo come sassi mentre riguadagniamo l’ora persa all’andata.
Con il fuso orario un po’ sballato c’è chi si sveglia alle 5:10, ma in realtà sono 4:10; Ludo, in stato di incoscienza, ricostruisce l’andamento delle ore…abbiamo perso un’ora all’andata, adesso la stiamo riguadagnando…quindi sono le 5:10.
Torniamo a dormire.
Un paio di ore dopo saliamo a fare colazione; il porto di Rotterdam è in vista, ma è enorme e la manovra di attracco ci dà il tempo di fare tutto con calma e poi scendere al deck 7 dove sono le moto.
È la mattina del 9 giugno; rimettiamo gli orologi (anche quelli delle moto) e cominciamo a scendere dall’Olanda verso la Germania; vogliamo evitare l’autostrada e passare due giorni sulla “Romantic Strasse”.
Lungo la strada incrociamo paesi che sembrano nuovi di pacca, impeccabili e incredibilmente tipici della Germania.
Uno di questi è Ochsenfurt, poco a nord di Norimberga.
Troviamo un B&B incantato, ricavato forse da un vecchio fienile; le stanze sono enormi e non ci manca proprio niente.
La cena è un trionfo di cucina locale; i locali sono estremamente cortesi e finita la cena facciamo due passi nel centro del paese: ci siamo solo noi!
Il giorno dopo ci svegliamo con tutta la calma del mondo; ci servono una colazione luculliana dopodiché saliamo ancora sulle moto: stasera si dorme in Italia.
E infatti concludiamo la Romantic Strasse e arriviamo a Garmish; un caffè tanto per fermarci un po’ e puntiamo verso l’Austria da dove saliamo verso il passo del Rombo.
Il passo alle 20:00 chiude per riaprire l’indomani alle 6:30 (mi sembra); noi siamo ai piedi del passo non molto prima che chiuda.
Dalla parte austriaca il passo sale dolcemente, non ci sono rampini e la strada sotto le ruote non si fa mai esageratamente ripida: in una parola meravigliosa; alle 7:45 siamo in cima al passo, il sole cala me allunga le ombre.
La temperatura a 2500 mt è bella fresca, scendiamo e ci godiamo il panorama. Qualche foto e cominciamo la discesa.
Dalla parte italiana questa è molto più aspra, piena di tornanti e piuttosto ripida, galleria scavate nella roccia e rivoli di acqua che scendono a valle; a me piace lo stesso così mi metto avanti e faccio io da apripista.
Il primo paese che incontriamo è San Leonardo in Passiria (praticamente Tirolo); si è fatto sera e agilmente troviamo da mangiare e dormire.
La mattina dopo ci svegliamo con la pioggia: argh…vabbè non ci possiamo lamentare, tanto più che è una pioggerella fina fina che ci accompagna fino a Trento non di più.
Per pranzo siamo a Bologna-San Lazzaro, usciamo dall’autostrada e ci fermiamo a mangiare un ottimo tortellino con la panna, mentre gli amici che ci sono venuti ad accogliere ci chiamano da quel di Badia di Moscheta, ultima tappa del nostro viaggio.
Nel tardo pomeriggio siamo A Badia di Moscheta, in pieno appennino tosco emiliano, non prima di aver fatto il passo della Raticosa.
Gli amici sono venuti sia in macchina sia in moto; il gruppo si infoltisce, la serata è un po’ parlare ancora troppo a caldo dei 15 giorni appena trascorsi.
La stanchezza, almeno per me, ha già preso il sopravvento da un paio di giorni, vado a dormire, ma poco dopo anche gli altri mi raggiungono.
La sveglia a Badia è sempre una gioia; cappuccino e torta della nonna sono un must.
Fatta colazione, salutato Dante e Riccardino ricomponiamo il bagaglio e andiamo verso Imola.
L’A14 che 16 giorni prima ci aveva accompagnati fuori dall’Italia stavolta ci riporta a a casa.
Come sempre succede il giorno del rientro ci sgraniamo e finiamo per farci gli ultimi 500 km da soli, e così anche questa volta.
Da parte mia non è il momento per ripensare a viaggio che si avvia a conclusione; è una cosa che farò nelle settimane a venire ed infatti queste righe le ho scritte dopo due mesi dalla partenza.
Ho avuto bisogno del mio tempo per metabolizzare tutto; i primi giorni non ricordavo niente…poi…!

Al prossimo tour.  

giovedì 21 luglio 2016

Irlanda del Nord - TT Man: Il Tourist Trophy

È la mattina del 3 giugno, ultimo giorno in Irlanda, domani notte abbiamo il traghetto per Man.
Da Ballymoney cominciamo a scendere lungo la costa del Mar d’Irlanda [cit. “nel Mar d’Irlanda si bagnano tre religioni; due fottutamente pericolose, ed una venera le corse su strada”…Ludo docet] per raggiungere Belfast; la costa orientale dell’Irlanda è meno brulla di quella occidentale; dominano sempre coste a picco e falesie, ma la vegetazione risente della protezione dai venti artici che invece investono il Donegal.
È una giornata quasi di transizione, ce la prendiamo comoda e verso le 4:30 – 5 siamo a Belfast.
Non so perché, ma questa città mi ha sempre “messo paura”; sicuramente per la lunga, sanguinosa e medioevale scontro religioso e l’IRA.
Non v’è traccia di tutto questo nelle strade di Belfast; il Bloody Sunday cantato dagli U2 non trova riscontro nei colori, nei sapori e negli odori della capitale degli attentati al tritolo degli anni ’80.
Camminiamo sotto un caldo sole, adesso siamo scesi di latitudine e anche in maniche corte si sta bene.
Un passaggio al famoso Crown Bar per cenare e poi andare a letto; la sveglia è fissata alle 2:00 di mattina e la giornata sarà lunga.
Alle 3:30 la fila all’imbarco per Man è già bella lunga; l’eccitazione brucia la temuta levataccia mentre il cielo comincia schiarire sempre più.
Per uno strano caso siamo gli ultimi della fila…! Saliamo sul traghetto, assicuriamo le moto e ci dirigiamo al bar sul ponte sovrastante per fare colazione; poi sentiamo un velo di stanchezza e sonno che ci suggeriscono di prendere posto su qualche sparuta poltrona rimasta libera. Il traghetto è stracolmo.
PS: per chi volesse andare a vedere il TT di Man consiglio di prenotare il traghetto per e da Man verso settembre, altrimenti i posti non si trovano!
Tre ore e poggiamo le ruote sul suolo dell’Isola di Man. Un rumore fragoroso e appropriato esce dalla stiva del traghetto.
Siamo a Man, e i rumori sono quelli dei mezzi a due ruote, di ogni genere e tipo; di ogni cilindrata e colore, dall’Harley alla Ducati 1299 Panigale (usata anche dalla Polizia).
Abbiamo due stanze già prenotate a casa di Sara; andiamo, poggiamo tutto comprese le moto e siamo pronti per assistere alla gara del giorno.
Ludo ci guida in fondo a Bray Hill, proprio sulla compressione. Bray Hill è un discesone posto appena dopo il Gran Stand (la partenza del TT) con una pendenza del 35% a cui segue, senza soluzione di continuità, una curva a destra in salita.
Chi ha il pelo sullo stomaco passa a canna senza chiudere il gas, le sospensioni vanno a pacco (si chiudono tutte) e la carena della pancia lascia lunghe strisciate e solchi sull’asfalto della compressione.
Giuro di aver passato la prima mezz’ora nel panico; la sensazione di un disastro imminente mi aveva pervaso, quasi non riuscivo ad assistere al passaggio delle moto cadenzato ogni 10 secondi dalla vicinissima partenza.
Vedo sfilare come missili terra-terra i nomi che solo fino ad allora avevo solo immaginato.
McGiunnes, Bruce Anstey, Michael e William Dunlop (nipoti di Joey), Ian Hatchinson e anche l'italiano Bonetti. 
Posso ora confermare che non è come sembra; è molto peggio, o meglio, dipende dai punti di vista.
Le velocità sono stratosferiche come microsferiche sono le distanze che i piloti tengono dai marciapiedi, dai muri e dai terrapieni.
È tutto calcolato, le traiettorie, le velocità, la quantità di gas aperto, la pressione sulla pinza del freno…tutto; eppure anche quest’anno il Mountain ha preso il suo dazio: sei vite perse tra cui un civile e 5 piloti. Ma il TT di Man è così prendere o lasciare, nessuno ti obbliga e nessuno ti costringe.
Sono veramente terrorizzato, ma anche “i bastardi senza gloria” passano su Bray Hill a vita persa come se non ci fosse un domani.
I passaggi sono sei; il TT per le superbike ne prevede tanti e ogni giro sono 60,7 chilometri, 256 pieghe a giro, 2 pit stop per cambiare gomme e fare benzina tutto alla velocità della luce. Finita la gara delle superbike ci spostiamo a Braddan Bridge per vedere quella dei sidecar; ci sediamo sulle panche di quella che sembra una tribuna, mangiamo, qualcuno si addormenta spiaggiato sull’erba del parco proprio a ridosso delle panche.
Le gare si concludono e gli efficientissimi marshall riaprono il circuito al traffico cittadino.
Andiamo in centro e comincia la caccia agli stickers…proseguirà “patologicamente per tutti e quattro i giorni di permanenza sull’isola”.
Troviamo da mangiare e bere, è ora di cena più o meno; siamo in piedi dalle due di mattina e ben presto siamo a letto. Domani c’è il Mad Sunday: pista libera per tutti, a velocità limitata, fatta eccezione per un tratto della montagna.
Man in queste due settimane non è economica, tutt’altro, ma del resto per le altre 50 settimane che la dividono dal prossimo TT il turismo non è il suo pezzo forte.
A Sara, la padrona di casa chiediamo come sia la vita su Man quando non c’è il TT! Lei risponde placidamente: tranquilla!
Il giorno del Mad Sunday arriva presto; risaliamo sulle moto e ci infiliamo sul circuito che oggi si può percorrere in un senso solo, quello delle gare.
Non è come me lo ero immaginato; molto meglio. Nessuna velocità libera sulla montagna; il Mad Sunday si trasforma in una sfilata di 40.000 moto lungo i 60.7 chilometri del circuito.
Semplicemente meraviglioso.
Il resto del giorno lo passiamo ad “esplorare” l’isola, passiamo a Ramsey, Pill ed altri paesotti costieri.
Non c’è verso, tutt’attorno si respira l’aria del TT, quella dell’olio bruciato, della benzina, della velocità e della morte.
Il paddock è free entrance, passiamo tra i vari box (spesso roulotte o camper con un modesto spazio antistante adattati ad officina, camera da letto, cucina e bagno).
Ce lo facciamo tutto! Le moto ed i sidecar non ci sono…sono completamente smontati, i motori sono sui i banconi dei meccanici o degli stessi piloti; qualcuno è cotto qualcuno sta spremendo qualche altro cavallo e da un lato ci sono telaio e carena. È un lavorio continuo attorno ai cuori pulsanti, da 200 cavalli e passa, che l’indomani si ritroveranno sul Mountain.
Il giorno successivo ci piazziamo a vedere le gare a Ballaugh Bridge, dove le moto saltano seguendo una traiettoria millimetrica per non finire sul muro del “Raven” un pub che si trova proprio lì; rimesse tutte e due le ruote a terra piegano a destra e danno fondo alla manopola del gas facendo il pelo prima al Raven e poi, poco più avanti, al muro di pietra a sinistra.
Fa caldo, fa veramente caldo. Lo speaker del TT annuncia che non faceva così caldo da 40 anni!
Non solo fa caldo ma il sole picchia e picchia forte. Io e Ludovico troviamo un negozietto che per carità divina vende anche della crema solare protettiva; decidiamo di esagerare: protezione 40 per bambini. Spalmato l’unguento ci trasformiamo in cartoni animati color blu argento…la gente ci nota, ma la pelata è salva.
Ci spostiamo nel luogo sacro del TT: Greg Ny Baa, ci sono tre tribune a pagamento e una ad invito credo.
Ci spostiamo sul prato alla fine del rettilineo in discesa che da Kate’s Cottage si lancia verso la curva a destra di Greg Ny Baa. Passano tutti, anche i newcomer (così si chiamano quelli che sono alla prima volta sul Mountain) con la loro casacca arancione (tanto per essere riconoscibili) ed ogni moto lascia il sapore di un piegone a destra e il fondoscala del rettilineo successivo. Che storia!
Le gare finiscono, ci sono le free practice ma preferiamo risalire in moto, farci un giro e poi tornare in centro.
 
L’ultimo giorno a Man.
Oggi non ci sono gare, il circuito è aperto e solo la montagna nevosa, Snaefell (così la chiamano) è percorribile a verso obbligato.
Decidiamo di rifarci i 60.7 chilometri del circuito e passare sullo Snaefell.
Non c’è traffico, pochissimi si sono avventurati sul circuito, ma dove la velocità non è consentita si va a 30 miglia orarie; la pena è un processo, una sanzione ed il sequestro della moto. E qui non si scherza proprio per niente.
Dopo il rampino che alza la salita sotto le ruote cominciamo a passare il limite orario un po’ castrante….50 km/h.
D’un baleno ci troviamo sullo Snaefell, pista libera.
Scalo un marcia, non basta, scendo in seconda e apro il gas del mio GS 800, Ludo è già passato ad olre 150 all’ora (più tardi mi dirà che era a 160) io spingo sulla strada sconnessa tanto da mandare quasi in risonanza il mono e le forcelle; d’un tratto a 180 sento quasi di non aver controllo della moto, sento sbiancare dentro il casco, tolgo gas e tocco delicatamente il freno posteriore, comincio a rallentare e raggiungo una velocità “sicura”: mi sono cagato sotto…! Che coglione.
Intanto Ludovico vive un momento di panico: ha strada libera, davanti a se non c’è nessuno, deve solo passare sotto il ponte che porta a kate’s cottage, quando svalica vede due o tre macchine della polizia chiudere la strada davanti a se e fare segno di fermarsi. Ecco qui…oggi non è Mad Sunday, mi avranno preso la velocità con il laser e sono fottuto. Non so se abbia sbiancato anche lui nel casco, ma una bella smaltita se l’è fatta.
Alla fine la polizia stava lì perché qualcuno dopo Kate’s cottage si era schiantato ed avevano chiuso la strada.
Ci riuniamo tutti e quattro e siamo proprio sotto la statua di Joey Dunlop, la stessa identica che abbiamo visitato a Ballymoney; si dice che l’una sia rivolta verso l’altra, ma vallo a verificare…anche se non fosse vero a noi piace pensare così.
La strada rimane chiusa a lungo così scendiamo per una consolare e andiamo a mangiare i granchi a Pill.
L’atmosfera è di quella che vorresti non finire mai, si è fatto buoi e lì sopra vuol dire che siamo ben oltre la mezzanotte.
Riprendiamo le moto e torniamo a Douglas dove alloggiamo.
Qualcuno ha ancora la forza di uscire e andare a bere qualche pinta. Io no. Svengo nel letto, domattina comincia il ritorno.

mercoledì 20 luglio 2016

Irlanda del Nord - TT Man (seconda parte)

Nella stanza, non esattamente di prima classe, il sole di Dublino entra presto, così ne approfittiamo (al netto di caffè, igiene personale e vestizione) per risalire in moto e puntare verso il Donegal, estremo nord-ovest dell’Irlanda.
Strada facendo ci guardiamo un po’ sorpresi, ma nessuno osa dire niente; adesso e verso la strada del ritorno però ci siamo più volte complimentati con noi stessi per il fattore C. meteorologico.
Pioggia e vento zero per tutti i giorni del viaggio, eccezion fatta per qualche ramatella presa al rientro in Italia.
Usciamo da Dublino in agilità e ci dirigiamo verso la Wild Atlantic Way; strada strepitosa che costeggia e disegna la costa frastagliata dell’isola di smeraldo.
Entriamo, per poi uscirne e rientrane nuovamente, in Irlanda del Nord, la natura si fa veramente selvaggia passando per Enniskillen e costeggiando il Lower Laugh Erne (un lago che prende il nome proprio da fiume Erne).
Di colpo, continuando verso nord, siamo di nuovo in Irlanda (la Repubblica).
La strada scorre piacevole e sinuosa sotto le nostre ruote; è un piacere guidare e osservare quella tipologia di flora mai vista prima. La fauna, neanche a dirlo è quasi una totalità di pecore e bovini.
Essendo esposta ad nord-ovest, e quindi ai venti che scendono dall’Islanda e dalla Groenlandia, non vediamo alberi ad alto fusto…non che spostandoci ad est abbiamo poi trovato della macchia mediterranea, ma lì in mezzo al nulla la sensazione è stata quella di osservare qualcosa di totalmente sconosciuto; dell’erba alta e fitta, di un color argento che, complice il sole, riluccica, ricopre ogni cosa e lascia intravedere qualche segno della presenza dell’uomo. Da quelle parti, più si va a nord e meno “paesi” si incontrano.
Siamo in sella tutto il giorno, qualche sosta per la benzina ed una sigaretta, ma la Wild Atlantic Way ci ha ormai preso con se.
Ci affacciamo per la prima volta sul Mare del Nord ad ammirare le meravigliose scogliere di Glencolmbkille ed il suo entroterra (foto).
Nel nord dell’Europa si cena presto, rispetto ai canoni italiani, quindi verso metà pomeriggio cominciamo a cercare, senza troppa preoccupazione, qualcosa per mangiare e dormire.
Facciamo un paio di giri (non voluti) attorno ad un villaggio che ci sembra possa accoglierci.
In effetti Glencolmbkille ha il suo pub con delle camere da letto al piano sovrastante, ma non ha da mangiare.
Si è fatta una certa, le 6 di pomeriggio per la precisone; doccia e pronti per accomodarci a gustare la meritata cena.
Uhm !
Siamo in ritardo e un “ristorante” ci concede un take away di fish and chips ed hamburger.
Torniamo al pub dove passeremo la notte e mangiamo il nostro take away lì.
La maggior parte della truppa è stanca, ma qualcuno si ferma a farsi un paio di pinte con il proprietario da sei generazioni di quel pub.
I successivi due giorni seguiamo la Wild Atlantic Way nel suo sinuoso percorso che disegna fiordi e costeggia falesie da perdere il fiato; la cosa più incredibile che ho notato è l’erba; è incollata alla roccia di quelle falesie fin giù dove arriva la marea: incredibile ed incredibile il colore di quel verde; è proprio smeraldo.
Per la seconda notte in Ulster ci fermiamo a Rathmelton, anzi, per essere precisi in un albergo (con annesso ristorante) a più stelle di Rathmelton; stasera ci trattiamo da signori per la gioia del Conte.
Il vicinato continua a scarseggiare pur avendo scelto una sistemazione ultracomoda. Fuori l’albergo il nulla. Usciamo dopo cena per fumarci una sigaretta, ma giuro di non aver visto passare neanche una macchina o un povero cristo!!! E allora buonanotte.
Si dorme bene negli alberghi con le stelle, ma non siamo lì, a 55 gradi nord, per rotolarci nelle lenzuola, anche perché il mio compagno di stanza designato ha dei gran bei baffi a manubrio…e in tutta onestà non è il mio tipo :-) !!!!!
Con tutto il dispiacere del Conte si lascia la comodità del Mulroy Woods Hotel e riprendiamo la strada.
Oggi c’è molto da vedere a cominciare dalla visita guidata nella distilleria del Bushmill a Giant’s Causway, una spiaggia sul mare del Nord da cui sono fuoriesciti 60 milioni di anni fa 40.000 colonne basaltiche vulcaniche di esatta forma esagonale l’una incastonata nell’altra come un’alveare, per finire a Ballymoney.
Il paesaggio che ci offre la spiaggia di Giant’s Causway è irreale, di un altro pianeta; saltiamo da un esagono all’altro come pedine della dama e rimaniamo affascinati da tanta perfezione. 
Fa caldo, fa veramente caldo così, ob torto collo, per risalire la scogliera, al prezzo di un pound, prendiamo un autobus! Lo so…ma non c’era alternativa, o a piedi (e con gli stivali da moto, abbigliati da grande nord non è la scelta più furba) o con l’autobus; all’unanimità autobus!
Di nuovo in sella c’è da raggiungere Ballymoney. È un imperativo categorico imposto senza riserve dal buon Ludo.
Ballymoney è una cittadina totalmente anonima e anche piuttosto bruttina dove però è nato e cresciuto Joey Dunlop e c’è il suo pub, o meglio il pub che prende il suo nome gestito dalla moglie.
Lui, Joey, mito indiscusso del TT di Man, è morto sicuramente facendo quello che amava: correre in moto su percorsi cittadini. Ma ci torneremo.
Seduti sulle panche di legno fuori il pub ci concediamo più di una pinta; io intanto noto un concessionario di moto ed avendo rotto parte del casco (prontamente rimesso in uso dallo scotch americano di Glauco) provo a farlo rimettere in sesto.
Il risultato è sconcertante: casco rimesso a nuovissimo e regalo della t-shirt (Alpinestar) del concessionario!
Torno dai miei amici felicemente seduti fuori il pub. Tra una pinta e l’altra la giornata si chiuderà con una domanda: Who is Carlo ?

lunedì 18 luglio 2016

Irlanda del Nord - TT Man (parte prima)


Alle 6:30 del 28 maggio l’aria è fresca a L’Aquila, neanche a dirlo; sono uscito sul balcone per definire gli ultimi dettagli dell’abbigliamento della prima tappa.
La destinazione è l’Ulster (Irlanda del Nord) e l’Isola di Man (TT Trophy), il bagaglio è pronto come tutto il resto.
Manca solo il beauty dove mettere spazzolino e dentifricio, poi posso chiudere e montare la borsa waterproof sulla sella della moto.
Comincio a vestirmi, pantalone, stivali, maglia tecnica a manica lunga, l’amata camicia di jeans e giacca.
Ultimo sguardo e chiudo la porta di casa; la moto è bella e pronta. Carica, come me.
L’appuntamento è sull’A14, autogrill di Tortoreto Est alle 9.15.
Arrivo leggermente in anticipo, giusto il tempo di fare colazione e fumarmi una sigaretta; mi sento molto rilassato ed eccitato; come facciano a convivere queste due emozioni dentro di me non lo so, ma così è!
La “troupe” arriva, altri tre globetrotter in sella ai loro “ferri”; sono Glauco, Ludovico e Carlo.
Poche chiacchiere, si parte.
Riguardando, settimane dopo, i passaggi al Telepass, mi accorgo che usciamo ad Aosta-Monte Bianco alle 16.20…!
Bella tirata.
Passiamo il mote Bianco per 29,50 € e siamo in Francia.
L’unica cosa comoda delle autostrade francesi è che hanno gli autogrill con albergo.
Saliamo ancora per qualche centinaio di chilometri, c’è ancora tanta luce; poi, stanchi imbocchiamo un autogrill.
Per il primo giorno 1200 chilometri possono bastare.
Doccia, trucco e parrucco (siamo praticamente tutti e quattro pelati), jeans, t-shirt e scarpe comode.
Ceniamo mentre fuori si scatena il diluvio universale…l’abbiamo lisciato per fortuna, due chiacchiere una sigaretta e buonanotte, domani si parte presto, c’è da raggiungere la costa della Manica.
Per scrupolo Glauco controlla la disponibilità di posti sul traghetto da Cherbourg a Dublino: booking off!
Poco male, siamo in moto e cambiamo programma: Dieppe-Newhaven, ci facciamo un po’ di Galles.
La mattina presto arriva presto, tutti pronti, si va.
Siamo a Dieppe in poche ore, assicuriamo le moto nella stiva e ci godiamo la traversata di quattro ore su delle comode poltrone che non disdegnano una pennichella.
Attraccando a Newhaven ci ricordiamo di due cose: siamo un’ora indietro e soprattutto si guida a sinistra. Per me è la prima volta, ma in moto sei neutro, non come in macchina che guidi a sinistra, quindi problemi zero…solo un po’ strano…ma passa subito.
Saliamo su dalle coste delle manica per un centinaio di chilometri; la giornata è stata lunga e faticosa.
Troviamo da mangiare e dormire, forse anche un pub per una pinta, ma ben presto siamo a letto; i nostri altri mille chilometri li abbiamo fatti.
Sveglia con il caffè di Glauco, che porta sempre con se la moca e quanto serve per farsi un caffè in camera.
In meno di un’ora siamo in sella pronti ad attraversare il Galles; stasera si dorme Dublino!
A Holyhead ci imbarchiamo e in tre ore siamo in Irlanda, l’isola di smeraldo. Un sole sfavillante ci accoglie, fa anche caldo e nei due giri e passa attorno al centro di Dublino mi sudo quello che non avevo fatto prima!
Glauco è concentrato a cercare la traversa che ci avrebbe portato a ridosso di Temple Bar tanto che brucia non uno, non due ma ben tre semafori rossi. Noi tre a seguire, ne bruciamo uno, poi due…al terzo ce la facciamo una domanda…e ci fermiamo.
Più tardi Glauco non ricorderà di aver visto i semafori…! Vabbè cose che capitano...!
A Temple Bar è festa, il sole è ancora alto, come la latitudine che abbiamo raggiunto, e ragazzi e ragazze sono ben felici di godersi il “famoso sole di Dublino”.
Abbiamo una camera in un ostello proprio sopra Temple Bar. Ci affrettiamo e in un’oretta siamo tutti belli docciati ed in borghese.
C’è ancora luce, incredibile.
Il Temple Bar, quello con l’insegna rossa ad angolo esige una pinta; e sia.
Rimaniamo nel centro sempre stracolmo di gente che viene e che va; nonostante un filo di stanchezza non se ne parla di ritirarsi.
Andiamo in un altro pub poco fuori il cuore pulsante di Dublino e mangiamo lo spezzatino marinato nella Guinnes. Delicious !!!!!!
Torniamo tra la movida, un altro paio di pinte vanno giù, si è fatto buio anche a Dublino e tomo tomo cacchio cacchio ci ritiriamo nei tre metri quadri della camera dell’ostello.
Domani ci aspetta la Atlantic Wild Way !
 
 

 

 

venerdì 15 aprile 2016

Il veicolo dei pensieri

Mi chiedo se a volte sia meglio dimenticare o accettare che un ricordo ti rimanga dentro.
Se fossimo in grado di decidere su cosa conservare e cosa cancellare dal nostro vissuto, allora questa domanda non troverebbe senso, ma, volenti o nolenti, dentro ci rimane sempre quello che ha toccato e fatto vibrare le corde della nostra anima, che sia stata una melodia di suoni o una sonora stortura di note, o una melodia conclusa con una fragorosa stonata.
Insomma, pur non avendo gli strumenti per decidere, al di là dei pensieri, forse ci rimane dentro quello che ci deve rimanere, sia di bello che di brutto.
La sofferenza, quella, ho imparato essere un'altra cosa; comicamente le emozioni sfuggono al nostro controllo, totalmente.
Non ci crei ?
Allora ti chiedo di sentirti felice, anzi euforico, adesso in questo momento o arrabbiato, anzi furibondo sempre in questo momento.
Ci sei riuscito?
Evidentemente no, se non lo eri già prima di leggere queste righe; e ne sono sicuro.
Già, perché le emozioni, tipo ed intensità, dipendono dall'interpretazione o dal senso che diamo ai pensieri, sui quali però abbiamo, in parte consistente, il controllo.
Un pensiero irrazionale con forte probabilità genererà, in caso, una emozione irrazionale o fuori scala.
Allora pensare solo positivo ?
Certo che no, cioè, magari !!!!!!!
Ma osservare le cose da più punti di vista, questo si, eccome...!
E' la convinzione che esista un solo punto di osservazione che ci condiziona; condiziona pensieri ed emozioni.
Non dico che per ogni problema esista un punto di vista dal quale esso diventi magicamente un "non problema", ma l'accettazione, dopo aver vagliato ogni possibile soluzione, è la forma di strategia del pensiero meno perdente che abbiamo, di fronte ad un problema.
L'accettazione di se come degli altri per così come si è, come della cose della vita, credo ci ponga al riparo da conflitti interiori che provocano spesso inutile sofferenza, quando d'impeto, irrazionalmente o subconsciamente, i pensieri si scontrano con la nostra architettura del pensiero.
 
Boh, mi  venuta così!

sabato 13 febbraio 2016

Il seme

Verso ottobre il mio ultimo tracciato cardiaco diceva che avevo una frequenza tra i 40 e i 51 battiti al minuto.
Per quello che so il mio sembra un cuore sano, forte e capace di sopportare delle gran belle frustate.
È vero, lo sperimento ogni volta che gli chiedo sangue pulito.
Il mio cuore è forte.
Quello fatto di carne, il muscolo, le sue valvole, quello grande come il mio pugno, quello che se ne sta tranquillo sotto la pelle, sotto le costole, a battere ad un ritmo regolare.
Ma non è solo; è connesso a tutto e tutto è connesso a quel chilo e mezzo di fili e collegamenti che contengono misteriosamente l’essenza, la coscienza, la ragione ed il sentimento di ognuno di noi.
Il cervello. Che fascino!
Sembra immutabile, ma è tutt’altro; è plastico, si adatta e si trasforma per proteggere tutto quello che vibra sotto di lui.
Capita che ci tocchi in sorte una coscienza tarata per non pensare prima a noi, ma per assecondare e aiutare e ascoltare e sacrificarsi e darsi anche a danno di noi stessi.
Poi capita che un seme piantato dalla vita dentro quel ginepraio di assoni non venga rigettato, ma anzi cominci a spuntare fuori dalla terra con le sue foglioline, cresca, maturi e cominci a spargere anche lui i suoi semi; quel cervello finisce per cambiare e rispondere agli stimoli in maniera inaspettata.
Capita.
Succede forse ai più deboli, ai più provati, a quelli che ne hanno bisogno, ai cresciuti su gambe di creta.
Succede che la vita ti ripaghi con l’accettazione di questo grande dono di “vedere” gli altri, ma anche se stessi.
È un riprogrammarsi, a volte quasi difficile da accettare, ma quel seme, piantato con tutto l’amore che c’è, ha cambiato le carte in tavola; non ti ha dato una scala reale, forse una coppia di sette, ma sicuramente occhi per vedere.
Grazie del dono.



PS: lo so che tutto può sembrare incomprensibile, ma io scrivo per me. Egoista in questo caso.