Verso ottobre il mio ultimo
tracciato cardiaco diceva che avevo una frequenza tra i 40 e i 51 battiti al
minuto.
Per quello che so il mio sembra
un cuore sano, forte e capace di sopportare delle gran belle frustate.
È vero, lo sperimento ogni volta
che gli chiedo sangue pulito.
Il mio cuore è forte.
Quello fatto di carne, il
muscolo, le sue valvole, quello grande come il mio pugno, quello che se ne sta
tranquillo sotto la pelle, sotto le costole, a battere ad un ritmo regolare.
Ma non è solo; è connesso a tutto
e tutto è connesso a quel chilo e mezzo di fili e collegamenti che contengono
misteriosamente l’essenza, la coscienza, la ragione ed il sentimento di ognuno
di noi.
Il cervello. Che fascino!
Sembra immutabile, ma è
tutt’altro; è plastico, si adatta e si trasforma per proteggere tutto quello
che vibra sotto di lui.
Capita che ci tocchi in sorte una
coscienza tarata per non pensare prima a noi, ma per assecondare e aiutare e
ascoltare e sacrificarsi e darsi anche a danno di noi stessi.
Poi capita che un seme piantato
dalla vita dentro quel ginepraio di assoni non venga rigettato, ma anzi cominci
a spuntare fuori dalla terra con le sue foglioline, cresca, maturi e cominci a
spargere anche lui i suoi semi; quel cervello finisce per cambiare e rispondere
agli stimoli in maniera inaspettata.
Capita.
Succede forse ai più deboli, ai
più provati, a quelli che ne hanno bisogno, ai cresciuti su gambe di creta.
Succede che la vita ti ripaghi
con l’accettazione di questo grande dono di “vedere” gli altri, ma anche se
stessi.
È un riprogrammarsi, a volte
quasi difficile da accettare, ma quel seme, piantato con tutto l’amore che c’è,
ha cambiato le carte in tavola; non ti ha dato una scala reale, forse una
coppia di sette, ma sicuramente occhi per vedere.
Grazie del dono.
PS: lo so che tutto può sembrare
incomprensibile, ma io scrivo per me. Egoista in questo caso.