Maggio - Giugno 2016
Alle
6:30 del mattino l’aria è fresca a L’Aquila, neanche a dirlo; sono uscito sul
balcone per definire gli ultimi dettagli dell’abbigliamento per la prima tappa.
La
destinazione è l’Ulster (Irlanda del Nord) e l’Isola di Man (TT Trophy), il
bagaglio è pronto come tutto il resto.
Manca
solo il beauty dove mettere spazzolino e dentifricio, poi posso chiudere e
montare la borsa waterproof sulla sella della moto. Comincio
a vestirmi, pantalone, stivali, una maglietta manica corta tutta da sudare,
l’amata camicia di jeans e la giacca che mi fa sentire tanto globetrotter…vabbè.
Ultimo
sguardo e chiudo la porta di casa; la moto è bella e pronta. Carica, come me.
L’appuntamento
è sull’A14, autogrill di Tortoreto Est alle 9.15.
Arrivo
leggermente in anticipo, giusto il tempo di fare colazione e fumarmi una
sigaretta; da lì a pochi mesi avrei smesso. Mi sento molto rilassato ed
eccitato; come facciano a convivere queste due emozioni dentro di me non lo so,
ma così è!
La
“troupe” arriva, tre AMICI in sella ai loro “ferri”; sono Glauco, Ludovico e
Carlo.
Poche
chiacchiere, si va.
Riguardando,
settimane dopo, i passaggi al Telepass, mi accorgo che usciamo ad Aosta-Monte
Bianco alle 16.20…!
Bella
tirata.
Passiamo
il mote Bianco per 29,50 € e siamo in Francia.
La
cosa comoda delle autostrade francesi è che hanno gli autogrill con albergo.
Saliamo
ancora per qualche centinaio di chilometri, c’è ancora tanta luce; poi, stanchi
ci imbuchiamo in un autogrill.
Per
il primo giorno più di 1200 chilometri possono bastare. Doccia,
jeans, t-shirt e scarpe comode. Ceniamo
mentre fuori si scatena il diluvio universale…l’abbiamo lisciato per fortuna,
due chiacchiere una sigaretta e buonanotte, domani si parte presto, c’è da
raggiungere la costa della Manica. Per
scrupolo Glauco controlla la disponibilità di posti sul traghetto da Cherbourg a Dublino:
booking off!
Poco male, siamo in moto e
cambiamo programma: Dieppe-Newhaven, ci facciamo un po’ di Galles.
La mattina presto arriva presto,
tutti pronti, si va.
Siamo a Dieppe in poche ore,
assicuriamo le moto nella stiva del traghetto e ci godiamo la traversata di
quattro ore su delle comode poltrone che non disdegnano una pennichella.
Attraccando a Newhaven ci
ricordiamo di due cose: siamo un’ora indietro e soprattutto si guida a sinistra.
Per me è la prima volta, ma in moto sei neutro, non come in macchina che guidi
a sinistra, quindi problemi zero…solo un po’ strano…ma passa subito.
Saliamo su dalle coste delle
manica per un centinaio di chilometri; la giornata è stata lunga e faticosa.
Troviamo da mangiare e dormire, un
pub per una pinta, ma ben presto siamo a letto; i nostri altri mille chilometri
li abbiamo fatti.
Sveglia con il caffè di Glauco,
che porta sempre con se la moca e quanto serve per farsi un caffè in camera.
In meno di un’ora siamo in sella
pronti ad attraversare il Galles; stasera si dorme Dublino!
A Holyhead ci imbarchiamo e in
tre ore siamo in Irlanda, l’isola di smeraldo. Un sole sfavillante ci accoglie,
fa anche caldo e nei due giri e passa attorno al centro di Dublino mi sudo
quello che non avevo fatto prima!
Glauco è concentrato a cercare la
traversa che ci avrebbe portato a ridosso di Temple Bar tanto che brucia non
uno, non due ma ben tre semafori rossi. Noi tre a seguire, ne bruciamo uno, poi
due…al terzo ce la facciamo una domanda…e ci fermiamo.
Più tardi Glauco non ricorderà di
aver visto i semafori…! Vabbè cose che capitano...!
A Temple Bar è festa, il sole è
ancora alto, come la latitudine che abbiamo raggiunto, e ragazzi e ragazze sono
ben felici di godersi il “famoso sole di Dublino”.
Abbiamo una camera in un ostello
proprio a tre passi da Temple Bar. Ci affrettiamo e in un’oretta siamo tutti
belli docciati ed in borghese.
C’è ancora luce, incredibile.
Il Temple Bar, quello con l’ingresso
color rosso ad angolo esige una pinta; e sia.
Rimaniamo nel centro sempre
stracolmo di gente che viene e che va; nonostante un filo di stanchezza non se
ne parla di ritirarsi.
Andiamo in un altro pub poco
fuori il cuore pulsante di Dublino e mangiamo lo spezzatino marinato nella
Guinnes (Guinness stew). Delicious !!!!!!
Torniamo tra la movida, un altro
paio di pinte vanno giù, si è fatto buio anche a Dublino e ci ritiriamo nei tre
metri quadri della camera dell’ostello.
Domani ci aspetta la Atlantic
Wild Way !
Nella stanza, non esattamente di prima classe,
il sole di Dublino entra presto, così ne approfittiamo (al netto di caffè,
igiene personale e vestizione) per risalire in moto e puntare verso il Donegal,
estremo nord-ovest dell’Irlanda.
Strada facendo ci guardiamo un po’ sorpresi,
ma nessuno osa dire niente; adesso e verso la strada del ritorno però ci siamo
più volte complimentati con noi stessi per il fattore C. meteorologico.
Pioggia e vento zero per tutti i giorni del
viaggio, eccezion fatta per qualche scroscione di acqua preso al rientro in
Italia.
Usciamo da Dublino in agilità e ci dirigiamo
verso la Wild Atlantic Way; strada strepitosa che costeggia e disegna la costa
frastagliata dell’isola di smeraldo.
Entriamo, per poi uscirne e rientrane
nuovamente, in Irlanda del Nord, la natura si fa veramente selvaggia passando
per Enniskillen e costeggiando il Lower Laugh Erne (un lago che prende il nome
proprio da fiume Erne).
Di colpo, continuando verso nord, siamo di
nuovo in Irlanda (la Repubblica).
La strada scorre piacevole e sinuosa sotto le
nostre ruote; è un piacere guidare e osservare quella tipologia di vegetazione
mai vista prima. La fauna, neanche a dirlo è quasi una totalità di pecore e
bovini.
Essendo esposta ad nord-ovest, e quindi ai
venti che scendono dall’Islanda e dalla Groenlandia, non vediamo alberi ad alto
fusto…non che spostandoci ad est abbiamo poi trovato della macchia
mediterranea, ma lì, in mezzo al nulla, la sensazione è stata quella di
osservare qualcosa di totalmente sconosciuto; dell’erba alta e fitta, di un
color argento che, complice il sole, riluccica, ricopre ogni cosa e lascia
intravedere qualche segno della presenza dell’uomo. Da quelle parti, più si va
a nord e meno “paesi” si incontrano.
Siamo in sella tutto il giorno, qualche sosta
per la benzina ed una sigaretta, ma la Wild Atlantic Way ci ha ormai preso con
se.
Ci affacciamo per la prima volta sul Mare del
Nord ad ammirare le meravigliose scogliere di Glencolmbkille ed il suo
entroterra.
Nel nord dell’Europa si cena presto, rispetto
ai canoni più mediterranei, quindi verso metà pomeriggio cominciamo a cercare,
senza troppa preoccupazione, qualcosa per mangiare e dormire.
Facciamo un paio di giri (non voluti) attorno
ad un villaggio che ci sembra possa accoglierci.
In effetti Glencolmbkille ha il suo pub con
delle camere da letto al piano sovrastante, ma non ha da mangiare.
Si è fatta una certa, le 6 di pomeriggio per
la precisone; doccia e pronti per accomodarci a gustare la meritata cena.
Uhm !
Siamo in ritardo e un “ristorante” ci concede
un take away di fish and chips ed hamburger.
Torniamo al pub dove passeremo la notte e
mangiamo il nostro take away lì.
La maggior parte della truppa è stanca, ma
qualcuno si ferma a farsi un paio di pinte con il proprietario da sei generazioni
di quel pub.
I successivi due giorni seguiamo la Wild
Atlantic Way nel suo sinuoso percorso che disegna fiordi e costeggia falesie da
perdere il fiato; la cosa più incredibile che ho notato è l’erba; è incollata
alla roccia di quelle falesie fin giù dove arriva la marea: incredibile ed
incredibile il colore di quel verde; è proprio smeraldo.
Per la seconda notte in Ulster ci fermiamo a
Rathmelton, anzi, per essere precisi in un albergo (con annesso ristorante) a
più stelle di Rathmelton; stasera ci trattiamo da signori per la gioia di Carlo.
Il vicinato continua a scarseggiare pur avendo
scelto una sistemazione ultracomoda. Fuori l’albergo il nulla. Usciamo dopo
cena per fumarci una sigaretta, ma giuro di non aver visto passare neanche una
macchina o un povero cristo!!! E allora buonanotte.
Si dorme bene negli alberghi con le stelle, ma
non siamo lì, a 55 gradi nord, per rotolarci nelle lenzuola, anche perché il
mio compagno di stanza designato ha dei gran bei baffi a manubrio…!
Con tutto il dispiacere di Carlo si lascia la
comodità del Mulroy Woods Hotel e riprendiamo la strada.
Oggi c’è molto da vedere a cominciare dalla
visita guidata nella distilleria del Bushmill a Giant’s Causway, una spiaggia
sul mare del Nord da cui sono fuoriesciti 60 milioni di anni fa 40.000 colonne
basaltiche vulcaniche di esatta forma esagonale l’una incastonata nell’altra
come un’alveare, per finire a Ballymoney.
Il paesaggio che ci offre la spiaggia di
Giant’s Causway è irreale, di un altro pianeta; saltiamo da un esagono
all’altro come pedine della dama e rimaniamo affascinati da tanta
perfezione.
Fa caldo, fa veramente caldo così, ob torto
collo, per risalire la scogliera, al prezzo di un pound, prendiamo un autobus!
Lo so…ma non c’era alternativa, o a piedi (e con gli stivali da moto,
abbigliati da grande nord non è la scelta più furba) o con l’autobus;
all’unanimità autobus!
Di nuovo in sella c’è da raggiungere
Ballymoney. È un imperativo categorico imposto senza riserve dal buon Ludo.
Ballymoney è una cittadina totalmente anonima
e anche piuttosto bruttina dove però è nato e cresciuto Joey Dunlop e c’è il
suo pub, o meglio il pub che prende il suo nome gestito dalla moglie.
Lui, Joey, mito indiscusso del TT di Man, è
morto sicuramente facendo quello che amava: correre in moto su percorsi
cittadini. Ma ci torneremo.
Seduti sulle panche di legno fuori il pub ci
concediamo più di una pinta; io intanto noto un concessionario di moto ed
avendo rotto parte del casco (prontamente rimesso in uso dallo scotch americano
di Glauco) provo a farlo rimettere in sesto.
Il risultato è sconcertante: casco rimesso a
nuovissimo e regalo della t-shirt (Alpinestar) del concessionario!
Torno dai miei amici felicemente seduti fuori
il pub. Tra una pinta e l’altra la giornata si chiuderà con una domanda: Who is
Carlo ?
Da Ballymoney cominciamo
a scendere lungo la costa del Mar d’Irlanda [cit. “nel Mar d’Irlanda si bagnano
tre religioni; due fottutamente pericolose, ed una che venera le corse su
strada”…Ludo docet] per raggiungere Belfast; la costa orientale dell’Irlanda è
meno brulla di quella occidentale; dominano sempre coste a picco e falesie, ma
la vegetazione risente della protezione dai venti artici che invece investono
il Donegal.
È una giornata quasi di transizione, ce la
prendiamo comoda e verso le 16:30 siamo a Belfast.
Non so perché, ma questa città mi ha sempre
“messo paura”; sicuramente per la lunga, sanguinosa e medioevale scontro
religioso e l’IRA.
Non v’è traccia di tutto questo nelle strade
di Belfast; il Bloody Sunday cantato dagli U2 non trova riscontro nei colori,
nei sapori e negli odori della capitale degli attentati al tritolo degli anni
’80.
Camminiamo sotto un caldo sole, adesso siamo
scesi di latitudine e anche in maniche corte si sta bene.
Un passaggio al famoso Crown Bar per cenare e
poi andare a letto; la sveglia è fissata alle 2:00 di mattina e la giornata
sarà lunga.
Alle 3:30 la fila all’imbarco per Man è già
bella lunga; l’eccitazione brucia la temuta levataccia mentre il cielo comincia
schiarire sempre più.
Per uno strano caso siamo gli ultimi della
fila…! Saliamo sul traghetto, assicuriamo le moto e ci dirigiamo al bar sul
ponte sovrastante per fare colazione; poi sentiamo un velo di stanchezza e
sonno che ci suggeriscono di prendere posto su qualche sparuta poltrona rimasta
libera. Il traghetto è stracolmo.
Tre ore e poggiamo le ruote sul suolo
dell’Isola di Man. Un rumore fragoroso e appropriato esce dalla stiva del
traghetto.
Siamo a Man, e i rumori sono quelli dei mezzi
a due ruote, di ogni genere e tipo; di ogni cilindrata e colore, dall’Harley
alla Ducati 1299 Panigale (usata anche dalla Polizia di Man).
Abbiamo due stanze già prenotate a casa di
Sara; andiamo, poggiamo tutto comprese le moto e siamo pronti per assistere
alla gara del giorno.
Ludo ci guida in fondo a Bray Hill, proprio
sulla compressione. Bray Hill è un discesone posto appena dopo il Gran Stand
(la partenza del TT) con una pendenza del 35% a cui segue, senza soluzione di
continuità, una curva a destra in salita.
Chi ha il pelo sullo stomaco passa a canna
senza chiudere il gas, le sospensioni vanno a pacco (si chiudono tutte) e la
carena della pancia lascia lunghe strisciate e solchi sull’asfalto della
compressione. Giuro di aver passato la prima mezz’ora nel
panico; la sensazione di un disastro imminente mi aveva pervaso, quasi non
riuscivo ad assistere al passaggio delle moto cadenzato ogni 10 secondi dalla
vicinissima partenza.
Vedo sfilare come missili terra-terra i nomi
che solo fino ad allora avevo solo immaginato. McGuinness, Bruce Anstey, Michael e William Dunlop (nipoti di Joey), Ian
Hutchinson e anche l’italiano Bonetti.
Posso ora confermare che non è come sembra; è
molto peggio, o meglio, dipende dai punti di vista.
Le velocità sono stratosferiche come microsferiche
sono le distanze che i piloti tengono dai marciapiedi, dai muri e dai
terrapieni.
È tutto calcolato, le traiettorie, le
velocità, la quantità di gas aperto, la pressione sulla pinza del freno…tutto;
eppure anche quest’anno il Mountain ha preso il suo dazio: sei vite perse tra
cui un civile e 5 piloti. Ma il TT di Man è così prendere o lasciare, nessuno
ti obbliga e nessuno ti costringe.
Sono veramente terrorizzato, ma anche “i
bastardi senza gloria” passano su Bray Hill a vita persa come se non ci fosse
un domani.
I passaggi sono sei; il TT per le superbike ne
prevede tanti e ogni giro sono 60,7 chilometri, 256 pieghe, 2 pit stop per
cambiare gomme e fare benzina tutto alla velocità della luce. Finita la gara
delle superbike ci spostiamo a Bradden Bridge per vedere quella dei sidecar; ci
sediamo sulle panche di quella che sembra una tribuna, mangiamo, qualcuno si
addormenta spiaggiato sull’erba del parco proprio a ridosso delle panche.
Le gare si concludono e gli efficientissimi
marshall riaprono il circuito al traffico cittadino.
Andiamo in centro e comincia la caccia agli
stickers…proseguirà “patologicamente” per tutti e quattro i giorni di
permanenza sull’isola.
Troviamo da mangiare e bere, è ora di cena più
o meno; siamo in piedi dalle due di mattina e ben presto siamo a letto. Domani
c’è il Mad Sunday: pista libera per tutti, a velocità limitata, fatta eccezione
per un tratto della montagna.
Man in queste due settimane non è economica,
tutt’altro, ma del resto per le altre 50 settimane che la dividono dal prossimo
TT il turismo non è il suo pezzo forte.
A Sara, la padrona di casa chiediamo come sia
la vita su Man quando non c’è il TT! Lei risponde placidamente: tranquilla!
Il giorno del Mad Sunday arriva presto;
risaliamo sulle moto e ci infiliamo sul circuito che oggi si può percorrere in
un solo senso, quello delle gare.
Non è come me lo ero immaginato; molto meglio.
Nessuna velocità libera sulla montagna; il Mad Sunday si trasforma in una
sfilata di 40.000 moto lungo i 60.7 chilometri del circuito.
Semplicemente meraviglioso.
Il resto del giorno lo passiamo ad “esplorare”
l’isola, passiamo a Ramsey, Pill ed altri paesotti costieri.
Non c’è verso, tutt’attorno si respira l’aria
del TT, quella di olio bruciato, dibenzina, di velocità e morte.
Il paddock è free entrance, passiamo tra i
vari box (spesso roulotte o camper con un modesto spazio antistante adattati ad
officina, camera da letto, cucina e bagno).
Ce lo facciamo tutto! Le moto ed i sidecar non
ci sono…sono completamente smontati, i motori sono sui i banchi dei meccanici o
degli stessi piloti; qualcuno è cotto qualcuno sta spremendo qualche altro
cavallo e da un lato ci sono telaio e carena. È un lavorio continuo attorno ai
cuori pulsanti, da 200 cavalli e passa, che l’indomani si ritroveranno sul
Mountain.
Il giorno successivo ci piazziamo a vedere le
gare a Ballaugh Bridge, dove le moto saltano seguendo una traiettoria
millimetrica per non finire sul muro del “Raven” un pub che si trova proprio
lì; rimesse tutte e due le ruote a terra piegano a destra e danno fondo alla
manopola del gas facendo il pelo prima al Raven e poi, poco più avanti, al muro
di pietra a sinistra.
Fa caldo, fa veramente caldo. Lo speaker del
TT annuncia che non faceva così caldo da 40 anni!
Non solo fa caldo ma il sole picchia e picchia
forte. Io e Ludovico troviamo un negozietto che per carità divina vende anche
della crema solare protettiva; decidiamo di esagerare: protezione 40 per
bambini. Spalmato l’unguento ci trasformiamo in cartoni animati color blu
argento…la gente ci nota, ma la pelata è salva.
Ci spostiamo nel luogo sacro del TT: Creg Ny
Baa, ci sono tre tribune a pagamento e una ad invito credo.
Ci sediamo sul prato alla fine del rettilineo
in discesa che da Kate’s Cottage si lancia verso la curva a destra di Greg Ny
Baa. Passano tutti, anche i newcomer (così si chiamano quelli che sono alla
prima volta sul Mountain) con la loro casacca arancione (tanto per essere
riconoscibili) ed ogni moto lascia il sapore di un piegone a destra e il
fondoscala del rettilineo successivo. Che storia!
Le gare finiscono, ci sono le free practice ma
preferiamo risalire in moto, farci un giro e poi tornare in centro.
L’ultimo giorno a Man.
Oggi non ci sono gare, il circuito è aperto e solo
la montagna nevosa, Snaefell (così la chiamano) è percorribile a verso
obbligato.
Decidiamo di rifarci i 60.7 chilometri del
circuito e passare sullo Snaefell.
Non c’è traffico, pochissimi si sono
avventurati sul circuito, ma dove la velocità non è consentita si va a 30
miglia orarie; la pena è un processo, una sanzione ed il sequestro della moto.
E qui non si scherza proprio per niente.
Dopo il rampino che alza la salita sotto le
ruote cominciamo a passare il limite orario un po’ castrante….50 km/h.
D’un baleno ci troviamo sullo Snaefell, pista
libera.
Scalo un marcia, non basta, scendo in seconda
e apro il gas del mio GS 800, Ludo è già passato ad oltre 150 all’ora (più
tardi mi dirà che era a 160) io spingo sulla strada sconnessa tanto da mandare
quasi in risonanza il mono e le forcelle; d’un tratto a 180 sento quasi di non
aver controllo della moto, mi sento sbiancare dentro il casco, tolgo gas e
tocco delicatamente il freno posteriore, comincio a rallentare e raggiungo una
velocità “sicura”: mi sono cagato sotto…!
Intanto Ludovico vive un momento di panico: ha
strada libera, davanti a se non c’è nessuno, deve solo passare sotto il ponte
che porta a Kate’s Cottage, quando svalica vede due o tre macchine della
polizia chiudere la strada davanti a se e fare segno di fermarsi. Ecco qui…oggi
non è Mad Sunday, mi avranno preso la velocità con il laser e sono fottuto. Non
so se abbia sbiancato anche lui nel casco, ma una bella smaltita se l’è fatta.
Alla fine la polizia stava lì perché qualcuno
dopo Kate’s Cottage si era schiantato ed avevano chiuso la strada.
Ci riuniamo tutti e quattro e siamo proprio
sotto la statua di Joey Dunlop, la stessa identica che abbiamo visitato a
Ballymoney; si dice che l’una sia rivolta verso l’altra, ma vallo a
verificare…anche se non fosse vero a noi piace pensare così.
La strada rimane chiusa a lungo così scendiamo
per una consolare e andiamo a mangiare i granchi a Pill.
L’atmosfera è di quella che vorresti non finisse
mai, si è fatto buio e lì sopra vuol dire che siamo ben oltre la mezzanotte.
Riprendiamo le moto e torniamo a Douglas dove
alloggiamo.
Qualcuno ha ancora la forza di uscire e andare
a bere qualche pinta. Io no. Svengo nel letto, domattina comincia il ritorno.
Alle 7:00 siamo in fila sul molo del porto di
Douglas pronti per raggiungere Heysham. Tre ore e mettiamo le ruote di nuovo in
Galles: destinazione Hull da dove la stessa sera ci imbarchiamo, su un
traghetto a 13 ponti, per Rotterdam.
Abbiamo la cuccetta con l’oblò che guarda a
proravia e il traghetto è enorme; siamo al deck 10 ma più su c’è ristorante,
teatro e negozi.
La navigazione nel Mare del Nord è tranquilla,
non il minimo beccheggio non il minimo rollio; dormiamo come sassi mentre
riguadagniamo l’ora persa all’andata.
Con il fuso orario un po’ sballato c’è chi si
sveglia alle 5:10, ma in realtà sono 4:10; Ludo, in stato di incoscienza,
ricostruisce l’andamento delle ore…abbiamo perso un’ora all’andata, adesso la
stiamo riguadagnando…quindi sono le 5:10.
Torniamo a dormire.
Un paio di ore dopo saliamo a fare colazione;
il porto di Rotterdam è in vista, ma è enorme e la manovra di attracco ci dà il
tempo di fare tutto con calma e poi scendere al deck 7 dove sono le moto.
È la mattina del 9 giugno; rimettiamo gli
orologi (anche quelli delle moto) e cominciamo a scendere dall’Olanda verso la
Germania; vogliamo evitare l’autostrada e passare due giorni sulla “Romantic
Strasse”.
Lungo la strada incrociamo paesi che sembrano
nuovi di pacca, impeccabili e incredibilmente tipici della Germania.
Uno di questi è Ochsenfurt, poco a nord di
Norimberga.
Troviamo un B&B incantato, ricavato forse
da un vecchio fienile; le stanze sono enormi e non ci manca proprio niente.
La cena è un trionfo di cucina locale; i
locali sono estremamente cortesi e finita la cena facciamo due passi nel centro
del paese: ci siamo solo noi!
Il giorno dopo ci svegliamo con tutta la calma
del mondo; ci servono una colazione luculliana dopodiché saliamo ancora sulle
moto: stasera si dorme in Italia.
E infatti concludiamo la Romantic Strasse e
arriviamo a Garmish; un caffè tanto per fermarci un po’ e puntiamo verso
l’Austria da dove saliamo verso il passo del Rombo.
Il passo alle 20:00 chiude per riaprire
l’indomani alle 6:30 (mi sembra); noi siamo ai piedi del passo non molto prima
che chiuda.
Dalla parte austriaca il passo sale
dolcemente, non ci sono rampini e la strada sotto le ruote non si fa mai
esageratamente ripida: in una parola meravigliosa; alle 7:45 siamo in cima al
passo, il sole cala e allunga le ombre.
La temperatura a 2500 mt è bella fresca,
scendiamo dalle moto e ci godiamo il panorama. Qualche foto e cominciamo la
discesa.
Dalla parte italiana questa è molto più aspra,
piena di tornanti e piuttosto ripida, galleria scavate nella roccia e rivoli di
acqua che scendono a valle; a me piace lo stesso così mi metto avanti e faccio
io da apripista.
Il primo paese che incontriamo è San Leonardo
in Passiria (praticamente Tirolo); si è fatto sera e agilmente troviamo da
mangiare e dormire.
La mattina dopo ci svegliamo con la pioggia:
argh…vabbè non ci possiamo lamentare, tanto più che è una pioggerella fina fina
che ci accompagna fino a Trento non di più.
Per pranzo siamo a Bologna-San Lazzaro,
usciamo dall’autostrada e ci fermiamo a mangiare un ottimo tortellino con la
panna, mentre gli amici che ci sono venuti ad accogliere ci chiamano da quel di
Badia di Moscheta, ultima tappa del nostro viaggio.
Nel tardo pomeriggio siamo A Badia di
Moscheta, in pieno appennino tosco emiliano, non prima di aver fatto il passo
della Raticosa.
Gli amici sono venuti sia in macchina sia in
moto; il gruppo si infoltisce, la serata è un po’ parlare ancora troppo a caldo
dei 15 giorni appena trascorsi.
La stanchezza, almeno per me, ha già preso il
sopravvento da un paio di giorni, vado a dormire, ma poco dopo anche gli altri
mi raggiungono.
La sveglia a Badia è sempre una gioia;
cappuccino e torta della nonna sono un must.
Fatta colazione, salutato Dante e Riccardino
ricomponiamo il bagaglio e andiamo verso Imola.
L’A14 che 16 giorni prima ci aveva
accompagnati fuori dall’Italia stavolta ci riporta a a casa.
Come sempre succede il giorno del rientro ci
sgraniamo e finiamo per farci gli ultimi 500 km da soli, e così anche questa
volta.
Da parte mia non è il momento per ripensare a
viaggio che si avvia a conclusione; è una cosa che farò nelle settimane a
venire ed infatti queste righe le ho scritte dopo due mesi dalla partenza.
Ho avuto bisogno del mio tempo per
metabolizzare tutto; i primi giorni non ricordavo niente…poi…!
Al prossimo tour.