Non
è né un uomo né una donna; sono le parole che prima ti passano dentro come un
rastrello da giardiniere, poi ti curano, piano piano, dai dolori e dai silenzi
che hai accumulato dentro.
Parole
che ti spiazzano che ti commuovono per la loro semplicità e praticità; parole
di una voce disinteressata ma che intendono occuparsi di te.
Ti
rigirano come un calzino, fino al vomito, fino a farti capire, da solo, il
valore di chi ha camminato con te e dall’altra parte di chi ti cerca come tu
cerchi.
Ho
cercato per tanto tempo una parola che definisse la qualità dell’uno e dell’altro.
Ho
trovato la prima, oggi, mentre il rastrello grattava e sanguinava.
Mi
è servito poco, andare indietro ad una visione paradossale, al sublimarsi di menzogne senza
vergogna, senza pudore, senza amor proprio…senza dignità se non quella di
raccogliere e accontentarsi, chissà per quanto, delle molliche cadute dal
tavolo.
La
parola l’ho trovata in fondo alla rabbia e al coraggio che ho tenuto in piedi
inconsapevolmente, senza volerlo, isolando e isolandomi.
Alla
fine quello che è venuto fuori è: poveraccio o poveraccia…fa lo stesso.
Non
è un dispregiativo, almeno io non la sento così; è quasi una parola di pietà
che giustifica spirali folli, tenute in piedi per non annegare definitivamente.
La
seconda parola ce l’ho qui, ancora un po' annebbiata…ma la vedo.
Ho
bisogno di inquadrarla meglio, ma so di che cosa si tratta.
E per quanto mi sia stato
negato, per quanto non sia stato all’altezza, per quanto non sia stato forte e
capace di indirizzare la mia prua verso acque giuste, seppur non sempre calme,
una singola cosa è sicura: io sono e intendo essere.
Nessun commento:
Posta un commento