Pensare liberaMente

lunedì 21 dicembre 2015

Molliche e pietà

Alla fine c’è sempre qualcuno che t’accarezza l’anima quando più ne senti il bisogno, quando senti che il peso sulle spalle ti curva la schiena, quando ragione e sentimenti non sono più allineati.
Non è né un uomo né una donna; sono le parole che prima ti passano dentro come un rastrello da giardiniere, poi ti curano, piano piano, dai dolori e dai silenzi che hai accumulato dentro.
Parole che ti spiazzano che ti commuovono per la loro semplicità e praticità; parole di una voce disinteressata ma che intendono occuparsi di te.
Ti rigirano come un calzino, fino al vomito, fino a farti capire, da solo, il valore di chi ha camminato con te e dall’altra parte di chi ti cerca come tu cerchi.
Ho cercato per tanto tempo una parola che definisse la qualità dell’uno e dell’altro.
Ho trovato la prima, oggi, mentre il rastrello grattava e sanguinava.
Mi è servito poco, andare indietro ad una visione paradossale, al sublimarsi di menzogne senza vergogna, senza pudore, senza amor proprio…senza dignità se non quella di raccogliere e accontentarsi, chissà per quanto, delle molliche cadute dal tavolo.
La parola l’ho trovata in fondo alla rabbia e al coraggio che ho tenuto in piedi inconsapevolmente, senza volerlo, isolando e isolandomi.
Alla fine quello che è venuto fuori è: poveraccio o poveraccia…fa lo stesso.
Non è un dispregiativo, almeno io non la sento così; è quasi una parola di pietà che giustifica spirali folli, tenute in piedi per non annegare definitivamente.
La seconda parola ce l’ho qui, ancora un po' annebbiata…ma la vedo.
Ho bisogno di inquadrarla meglio, ma so di che cosa si tratta.
E per quanto mi sia stato negato, per quanto non sia stato all’altezza, per quanto non sia stato forte e capace di indirizzare la mia prua verso acque giuste, seppur non sempre calme, una singola cosa è sicura: io sono e intendo essere.

Nessun commento:

Posta un commento